Mimesi Trascendentali

Le differenze nel concetto di mimesis e nelle sue implicazioni tra Platone e Aristotele

Iniziamo con un assunto paradossale: che Platone, nella sua sublime erranza, s’innalza oltre la prosaica visione di Socrate, trasfigurando la mimesis in un sogno più astratto, più evanescente. Socrate, con quella sua tipica miopia dell’utile, vedeva nel bello un riflesso della funzione, una sorta di giustificazione pragmatica per l’eccellenza. Un’arte, quindi, schiava dei difetti, della correzione, di un’idealità sterile. Platone, invece, in un gesto di audace trascendenza, solleva il bello nell’empireo delle idee pure, nell’Iperuranio, quel regno di eterno, di divino, dove tutto è immutabile, incorporeo, intangibile alla nostra miserabile condizione. Qui, la bellezza si sottrae al gioco meschino della selezione, dell’empirico; diviene una reminiscenza dell’anima, un’eco di un sapere pre-incarnato.
E Platone osa ancora: definisce la bellezza come lo ‘splendore del vero’. Non una mera distinzione, ma un’epifania del Bene, del Vero, un ponte sospeso tra la conoscenza e l’essenza. Nella sua visione, l’arte non imita, ma svela; non replica, ma trascende, in un gesto che è quasi una preghiera, un annegamento nella verità.
E Platone osa ancora: definisce la bellezza come lo ‘splendore del vero’. Non una mera distinzione, ma un’epifania del Bene, del Vero, un ponte sospeso tra la conoscenza e l’essenza. Nella sua visione, l’arte non imita, ma svela; non replica, ma trascende, in un gesto che è quasi una preghiera, un annegamento nella verità.
Aristotele, con la sua saggezza terrena, diverge. Per lui, la mimesis è respiro, è natura, è l’essenza stessa dell’uomo. L’arte, per Aristotele, non è fuga, ma radicamento, un dialogo con l’universale che si cela nel quotidiano. Nella sua “Poetica”, l’arte diviene confessione, psicoanalisi, un teatro delle nostre verità più oscure, dove la catarsi è purificazione, esorcismo delle nostre paure e passioni.
In conclusione, Platone eleva la mimesis a ponte celeste verso un mondo di idee, di verità inafferrabili, dove la bellezza è rivelazione del vero e del bene. Aristotele, invece, la vede come esplorazione, come introspezione, un modo per navigare la tempesta della condizione umana.

 

Riflessione: mimesis e deformazione dell’identità

Immaginiamo ora Platone, estraneo e inquieto in questo nostro secolo, scrutando con sguardo perplesso il teatro illusorio dei social media, quell’antro platonico moderno. Lì, l’identità non è più che un’ombra sulla parete, una finzione, un simulacro che smentisce sé stesso. Gli avatar, le immagini curate, non sono altro che mimesis apollinee, un’apparenza che rinnega il vero sé, un’iperbole della realtà, una fuga dall’essenza.
Nel nostro mondo digitale, l’identità si fa rappresentazione, un’eco lontana del vero io.
Come un racconto che si racconta, un’illusione che si perpetua, in linea con quella teoria della coscienza di Dennett, un “centro narrativo” dove ciò che siamo diventa ciò che diciamo di essere (1). I social media, in questa logica, diventano distorsori di realtà, smembratori del sé, costruttori di una realtà parallela che erode l’autenticità.
Ma c’è anche un’eco di Aristotele in questo scenario, una mimesis che potrebbe rivelare, attraverso l’esperienza digitale, verità più profonde sulla nostra natura umana. La rete come spazio di catarsi, di espressione emotiva, una piazza virtuale dove il sé può trovare, forse, una sua verità.
Tuttavia, l’immersione in questo mare di realtà altrui rischia di offuscare la percezione di noi stessi, di deformare la narrazione del nostro essere. Chalmers, con la sua enfasi sui fenomeni della coscienza, sugli aspetti qualitativi dell’esperienza, ci ricorda che i social media possono alterare le nostre esperienze, modellare in modo sottile ma profondo il nostro vissuto (2).
In questo labirinto digitale, diventa cruciale insegnare, specialmente ai più giovani, a distinguere tra realtà e rappresentazione, a comprendere come le nostre storie personali vengono plasmate e mutate. Questa consapevolezza, che ancora una volta ricorda la coscienza narrativa di Dennett, è un antidoto all’illusione, un invito a creare spazi online dove regni l’autenticità, dove l’identità non sia più maschera ma espressione sincera di sé.

 

Alcuni chiarimenti oltre la riflessione, fuori dalla riflessione

Quando parlo di “miopia dell’utile” di Socrate mi riferisco alla sua tendenza a valutare il bello in termini di funzionalità e utilità pratica.
Per Socrate, la bellezza non è un concetto astratto o trascendente, ma piuttosto qualcosa che può essere definito e compreso attraverso il suo scopo o la sua funzione in un contesto pratico.
In altre parole ciò che è bello è ciò che è utile, efficace o adatto al suo scopo.
Questo approccio lo interpreto come limitato o miope perché si concentra solo su aspetti pragmatici e tangibili, trascurando dimensioni più profonde, spirituali o filosofiche della bellezza che, in questa visione, è ridotta a una sorta di giustificazione pratica per l’eccellenza;
L’uso del termine “psicanalisi” in relazione al pensiero di Aristotele è decisamente anacronistico, considerando che di psicanalisi si potrà parlare da Freud in poi.
Forse ho esasperato la metafora. Chiarisco meglio: per Aristotele, la mimesis nell’arte non è semplice imitazione, ma un processo profondo di riflessione e comprensione della realtà umana.
Questa visione può essere paragonata all’obiettivo della psicanalisi, che mira a esplorare e comprendere gli aspetti nascosti della psiche?
Nella “Poetica” di Aristotele, l’arte assume un ruolo simile a quello di uno strumento psicanalitico, fungendo da mezzo per esprimere, esplorare e, infine, comprendere le verità nascoste e i conflitti interni dell’essere umano.
Per concludere, quando mi riferisco all’arte come “confessione” e “psicoanalisi” intendo che attraverso l’arte gli individui possono esprimere e affrontare sentimenti, pensieri e esperienze che altrimenti rimarrebbero inespressi o incompresi. Questo processo mi ha condotto per analogia alla psicanalisi, dove il paziente esplora e parla dei propri pensieri e sentimenti repressi spesso scoprendo verità nascoste su di sé.

 

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