NOIR

“Nella letteratura e nel cinema, il “noir” è un genere che si è sviluppato inizialmente nei romanzi polizieschi degli anni ’20 e ’30 del XX secolo e che ha trovato la sua piena espressione nei film degli anni ’40 e ’50. I film noir sono caratterizzati da trame complesse, personaggi moralmente ambigui, un’atmosfera cinica e un’estetica visiva che utilizza contrasti di luce e ombra per creare tensione. Questi film spesso esplorano temi come il fatalismo, l’inganno e la trappola della seduzione.”

Jeffery K. Perkins

https://noir-corl.github.io/

Il sistema NOIR (Neural Signal Operated Intelligent Robots) è una piattaforma all’avanguardia che consente il controllo di robot per attività domestiche quotidiane mediante l’interpretazione di segnali cerebrali EEG. Questo comprendo dal sito web e dal paper (che non ho analizzato esaustivamente).
In estrema, ma veramente estrema sintesi, questo sistema intelligente di interfaccia cervello-robot combina algoritmi di apprendimento robotico per adattarsi agli utenti e predire le loro intenzioni, migliorando l’interazione uomo-macchina attraverso la comunicazione neurale diretta. Con una combinazione di 14 competenze robotiche parametrizzate, gli utenti possono guidare i robot per compiere compiti complessi con meno tentativi e tempo di decodifica ridotto. I test condotti e documentati hanno dimostrato l’efficacia di NOIR con compiti che spaziano dalla preparazione dei pasti alla pulizia e alla cura personale.
Gli esperimenti con il sistema NOIR hanno coinvolto tre partecipanti umani che hanno eseguito 20 attività complesse quotidiane, utilizzando una combinazione di 14 abilità robotiche parametrizzate. Queste attività includevano la preparazione di pasti, la pulizia, la cura personale e il tempo libero. I compiti eseguiti dai robot variavano dal pulire dello sporco a cucinare pasta, con tempi di completamento e tassi di successo variabili, migliorando significativamente con l’apprendimento robotico.
Se provo a immaginare il prossimo futuro (e per la velocità che sta assumendo lo sviluppo tecnologico, faccio sempre più fatica), penso che gli sviluppi di un progetto come NOIR potrebbero concentrarsi sull’ottimizzazione dell’interfaccia cervello-robot per ridurre ulteriormente il tempo e lo sforzo necessari per decodificare le intenzioni umane così da espandere la gamma di attività eseguibili dai robot.
Provando a tralasciare per un momento tutte le questioni relative alla privacy dei dati neurali è importante focalizzarsi su tre aspetti: il primo è l’accessibilità tecnologica; il secondo, le potenziali perdite di lavoro a causa dell’automazione. Il terzo tema, invece, è quello che ritengo più rilevante ovvero considerare come questi sistemi possano influenzare la qualità della vita e l’autonomia degli individui, in particolare quelli con limitazioni fisiche, e garantire che i benefici dell’automazione siano distribuiti equamente nella società.
L’integrazione di interfacce cervello-robot come NOIR solleva importanti questioni riguardanti la natura dell’azione umana e dell’autonomia, il confine tra mente e macchina, e la responsabilità morale delle decisioni automatizzate. La tecnologia BRI può estendere le capacità umane e sfidare la nostra comprensione della “normalità” e della disabilità.
Queste riflessioni impongono di considerare attentamente come le tecnologie influenzano la nostra identità e la società, richiedendo un dialogo continuo in tutta la comunità scientifica e sociologica senza escludere gli stakeholder per comprendere a fondo le implicazioni morali e le possibilità che queste tecnologie offrono.
Concludo sottolineando come le interfacce cervello-robot sfidano le nostre idee tradizionali di coscienza e di esperienza soggettiva. E’ assolutamete intrigante l’idea di estendere la cognizione umana attraverso dispositivi esterni (pensate al taccuino di Otto, Slide 23 https://nexa.polito.it/nexacenterfiles/polito-nexa_2022.pdf) e porsi domande sulla natura dell’esperienza qualitativa quando si interagisce con il mondo per mezzo di un robot. Si potrebbe anche esplorare l’idea di “mente estesa”, suggerendo che tali tecnologie potrebbero letteralmente espandere il confine della mente oltre il cervello biologico. Infine si potrebbero sollevare questioni etiche sull’identità personale e l’agente morale in contesti in cui le azioni sono mediate da un’interfaccia cervello-macchina.
La coscienza è spesso associata all’esperienza soggettiva e alla capacità di percepire e interagire con il mondo. Se i robot diventano un’estensione delle nostre facoltà cognitive e fisiche, ciò potrebbe modificare il modo in cui sperimentiamo la coscienza, espandendo il nostro senso di identità e le nostre capacità percettive. Inoltre, l’uso prolungato di tali interfacce potrebbe influenzare la struttura e funzione cerebrale, dato che il cervello si adatta e si ristruttura in risposta alle interazioni con gli ambienti e gli strumenti che utilizza.
E se le disparità di accesso a queste tecnologie aumentassero il divario tra “potenziati” e “naturali”? La dipendenza dalle macchine potrebbe anche ridurre l’autonomia umana. Inoltre, se l’integrazione di tali tecnologie divenisse un requisito per la produttività, potremmo essere costretti a subire modifiche invadenti per rimanere competitivi, riducendo l’umanità a mera estensione delle macchine.

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